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Maternità oggi, Parlarne (male) non basta più. Puntiamo i riflettori sulle madri solo quando diventano protagoniste della cronaca da prima pagina.

A chiacchiere finite, nasca oggi una responsabilità collettiva nei confronti della maternità, perché senza madri il futuro è ieri. a cura di Lisa Zuccarini

Maternità oggi, Parlarne (male) non basta più.

 Puntiamo i riflettori sulle madri solo quando diventano protagoniste della cronaca da prima pagina.

A chiacchiere finite, nasca oggi una responsabilità collettiva nei confronti della maternità, perché senza madri il futuro è ieri.

Ho dannatamente a cuore la maternità (come se fossi responsabile pure di quella delle altre per intenderci) da quando, per sbaglio o per scherzo, un anno fa ho scritto un libro che ne parlava.

Da allora mi è successo di diventare la calamitatrice di storie di donne, madri da poco o da parecchio, che si sono ritrovate a svuotare il sacco delle loro confessioni inconfessabili, riconoscendo probabilmente in me una di loro. Cioè una mamma sfranta e spampinata, che ha capito di essere semplicemente una fra milioni di milioni come le stelle di Negroni.

Quello che ascolto, da nord a sud, è un copione che si ripete sempre uguale. Che si tratti di donne sposate o single, madri lavoratrici o casalinghe, il grido unanime è lo stesso: qualcuno ci aiuti.

In sintesi e in buona sostanza, le madri oggi sono sole. Come forse mai prima.

Se non mi fossi imbattuta frontalmente con questa esasperazione generale avrei fatto fatica pure io a capirne la portata. Eppure ora che ho ascoltato e visto ci credo, le madri sono alla frutta. La ruota vitale della società è diventata l’ultima ruota del carro quello pronto per lo sfasciacarrozze.

D’altronde la cronaca non fa che ribadire casi che si rincorrono da mesi di madri che abbandonano i propri lattanti in casa lasciandoli morire d’inedia nello sbigottimento generale, madri che partoriscono sole senza che nessuno veda o senta, madri che lasciano i propri neonati in ospedale per non obbligarli ad una sopravvivenza indecorosa in tenda per strada.

Di cosa vogliamo stare a stupirci.

L’ennesima tragedia parla di una madre che allattando in ospedale il suo piccolo di tre giorni viene lasciata inassistita, e si risveglia con il bimbo morto per cause da accertare, qualunque esse siano comunque correlate al fatto che di quella donna e di suo figlio nessuno s’era curato per ore.

Queste storie, dalla più patologica alla più tragica, dalla compassionevole all’invereconda, riflettono una realtà che passa inosservata ma ormai oggi è strutturale, ovunque. Quella madre figlio è una diade inscindibile ma isolata dal tessuto sociale.

Il messaggio dilagante è che la maternità sia roba privata circa due sciagurati, una femmina e il prodotto delle sue viscere, e che la prima abbia il dovere di accollarsi in esclusiva tutta la faccenda, zitta e buona che per favore il resto del mondo c’ha da fare. E se non è capace dagli addosso all’incompetente, alla matta, alla menefreghista.

È vero, il mondo ha da fare occupato a rincorrere la sopravvivenza o l’abbaglio del potere, però caspita qualcuno mi dica che tipo di mondo rincorriamo se le donne continuano ad essere scoraggiate dal fare figli. A saldi finiti resteranno l’utero artificiale e i figlifici per crescere i bimbi in batteria come i polli.

Possibile ci si accorga delle madri solo quando capita la sciagura, quando sono inadempienti gravemente, o quando vanno in tv a mostrare il trofeo partorito da un’altra con il loro ovulo?

Mi pare un po’ pochino.

 Non ci si accorge del dolore delle madri che perdono un figlio, o che un figlio lo abortiscono con dolore. Delle casalinghe che si smazzano per arrivare intere a fine mese e farci arrivare pure la prole. Delle donne che lavorano e cucinano e raccolgono i mocci e i pianti, e la sera si chiedono chi glielo faccia fare di schizzare tutto il giorno come palle da ping pong.

Abbiamo lasciato le madri sole. Anche i padri li abbiamo lasciati soli, una sorta di specie di ominidi estinti non meglio identificati, ma le madri di più, perché sono quelle che ci rimettono di più.

E di chi è la colpa?

Di tutti e di ciascuno. Siamo tutti parte di questo sistema orrendo, che davanti ai bimbi chiassosi storce il naso e davanti ai cani che abbaiano no. Che se una donna è al quarto figlio ha la nomea di depravata, come se i nostri bisnonni a cui dobbiamo noi stessi non ne facessero dieci di figli. Che davanti ad una mamma col pancione pensa che alla fine alla cassa c’ero prima io e se lei ha la pancia è perché se l’è cercata e con me le sue scelte non hanno nulla a che fare. Che i centri di aiuto alla vita non vanno sostenuti perché la donna deve essere lasciata (sola) ad abortire (che manco ai cani) e bon.

Dunque a noi la scelta, magari quella giusta.

Torniamo a crescere i bimbi (e le madri) facendo rete, villaggio, cerchio attorno alla maternità.

Sorridiamo alle mamme, allunghiamo una mano se le vediamo scendere le scale cariche di passeggino, facciamole passare avanti in fila con gratitudine per la responsabilità che portano nella carne.

Altrimenti per cortesia alla prossima sciagura di madri e figli finita in tragedia guardiamoci allo specchio, e battiamoci il petto.

27 gennaio 2023

                                                             Lisa Zuccarini