ARTICOLO

LE FESTE DEL PAPÀ E DELLA MAMMA, RIMANGONO UN VALORE ANCHE A SCUOLA.

di Giusy D'Amico, presidente Associazione Non Si Tocca la Famiglia

📢 Il padre, in una società sempre più “orfana” di padri, ha necessità di ritrovare il centro.

Dopo i tentativi di abolire in alcune scuole la Festa del Papà, ci si mette pure l’on. Franceschini con la proposta di abolire il cognome del padre per dare spazio solo a quello della madre.
Attenzione: qui l’intento non è propriamente superare il patriarcato, ma seguire  la scia di quanti intendono innescare l’indebolimento di una figura profondamente imprescindibile, insieme a quella della madre, per una sana crescita e stabilità emotiva di ogni bambino!
Indebolire le nuove generazioni vuol dire renderle più manipolabili: un bambino senza mamma e papà non è uguale ad un bambino che gode della presenza di entrambi. Su questo nessuno può obiettare.
A questo proposito è molto interessante l’articolo di Paola Binetti che vi invitiamo caldamente a leggere:

https://www.ilsussidiario.net/news/solo-il-cognome-della-madre-la-proposta-di-franceschini-un-trucco-per-indebolire-la-figura-paterna/2816853/

Le feste del papà e della mamma rimangono un valore anche a scuola! Dal punto di vista pedagogico esse hanno un valore inestimabile, per cui non è giusto abolirle: ogni caso è da valutare sulla base di tante variabili che solo un educatore serio e attento può stabilire per prendere decisioni nel miglior interesse del minore. Siamo tutti immersi in una società sempre più confusa dal punto di vista della  struttura familiare, nonostante sia evidente a tutti l’ordine di  importanza che rappresentano le relazioni legate a chi ci ha generato. Talvolta per svariati motivi, perlopiù dolorosi, manca uno dei due genitori, a volte perché separati, o perché deceduti o perché, peggio ancora, i figli li hanno abbandonati… addirittura, e non di rado, mancano  entrambi; talvolta, accanto a madri e padri biologici, vi sono compagni e compagne dello stesso sesso che sembrano replicare la figura di una doppia mamma o di un doppio papà, nonostante, nel caso delle donne, solo una madre è colei che ha effettivamente generato, mentre  l’altra è sua compagna affettiva.

Nel caso del padre, la questione è diversa: uno solo dovrebbe essere il padre, anche se,  nel processo macchinoso della cosiddetta “gestazione per altri”, la donna presa in carico a pagamento per fare un figlio a due uomini che si uniscono affettivamente, è resa madre dal seme mescolato dei due uomini. Situazioni tutte abbastanza complicate da qualunque punto di vista le si voglia osservare. 

Ciononostante, un bambino ha necessità di avere non solo dei riferimenti affettivi, ma anche la necessità di una verità rispetto alle figure cui deve rivolgersi per meglio crescere in equilibrio con il proprio sé e con quello degli altri. Si direbbe “a chi tanto, a chi niente, a chi poco, a chi troppo”…  “ chi tanto” in riferimento ai bambini che vivono il perfetto equilibrio avendo le due figure madre e padre, che in natura è l’esatta combinazione per generare un figlio; “a chi poco”, invece, mancando, per motivi diversi uno dei due; “a chi niente”, se sfortunatamente si è stati abbandonati o rimasti orfani, con la speranza, però,  dell’adozione, e, infine,  “a chi troppo” in presenza di doppi genitori – così si fanno chiamare – perché il padre o la madre provando attrazione per lo stesso sesso, hanno costruito una relazione affettiva e si fanno chiamare “papà” come il padre biologico… e lo stesso dicasi per la mamma biologica che, se ha una compagna, spesso si fa chiamare anche lei “mamma”.

Se pensiamo alle famiglie allargate, i bambini vivono comunque dei disagi, delle fratture, delle divisioni interne. La scuola, che è il secondo luogo, dopo la famiglia, in cui vivono di più le esperienze quotidiane di relazione, di apprendimento, di emozioni, ha il dovere di accompagnare queste fasi di crescita dei bambini, celebrando gli affetti più cari e chiamandoli per nome. Abolire queste feste non aiuta l’inclusione, anzi, non fa altro che escludere e discriminare le diverse situazioni affettive di cui dovrebbero sentirsi liberi di parlare i bambini in primis.

Abbiamo affrontato una discussione impegnativa sull’abolizione delle feste della mamma e del papà a scuola, motivata da un principio di inclusione non meglio specificato. Tuttavia, questa scelta finisce per escludere allo stesso modo molti bambini che, pur avendo una famiglia, sembrano ormai essere considerati parte del problema. Il punto centrale dovrebbe essere un altro: garantire che chi una famiglia non ce l’ha – ed è questo il vero problema – possa comunque sentirsi parte di una comunità umana, in cui ogni bambino abbia la possibilità di formarsi, crescere e costruire il proprio futuro, consapevole del fatto che tutti siamo nati da un padre e da una madre.

Questo abolire ha tutta l’aria del verbo “rimuovere” e pone in essere non pochi interrogativi. Ormai a scuola si celebrano giornate dedicate a tutto: sono circa centosessanta le Giornate Mondiali riconosciute dall’ONU, dalla Giornata Internazionale del Pi greco – vi assicuro esiste! – a quella della lingua madre, tanto per fare due esempi banalissimi… e noi vorremmo abolire proprio quelle che  celebrano coloro che hanno messo al mondo gli esseri umani che lo popolano?La scuola dovrebbe sempre tener desta la sua vocazione ad affrontare i molti aspetti del reale, che bisogna tradurre in occasioni di crescita e opportunità educative: questo vuol dire educare, incendiare il cuore di passioni, idee, soluzioni, ipotesi! In ogni classe vi è un piccolo spaccato di vita reale, talvolta cruda e sofferta non quando spensierata e felice, tuttavia sempre  vissuta in comune come nelle migliori famiglie, proprio perché la scuola è  la riproduzione in scala di una piccola comunità, che vive tutti i giorni insieme, dove si gioisce, si cresce, si gioca, si ride e si piange, e dove è necessario camminare  passo passo uno affianco all’altro nella verità  perché questo renda liberi proprio i bambini e il loro desiderio di festeggiare la mamma e il papà.

Ecco allora che la presenza di bambini inseriti nei vari casi citati,  nonostante  vivano figure mancanti, potrebbero essere aiutati nell’elaborare quel vuoto affettivo, parlandone, confrontandosi, anche piangendo, verbalizzando desideri o considerazioni inespresse,  nutrendo sogni, forse, ma sentendosi in tutto, anche in quella mancanza, parte di un progetto di vita, non meno importante di chi un padre o una madre, o entrambi, li ha.

Ricordo una bambina in un ciclo di scuola primaria, cresciuta dal nonno, per cui la festa del papà era l’occasione per dichiarare al nonno tutto l’ amore e la riconoscenza dovuta a chi l’aveva cresciuta come una figlia. E un altro bambino, il cui papà era deceduto due anni prima, che, con una bella letterina, decise di portarla al cimitero, sentendosi fiero di avere comunque qualcuno a cui consegnarla… questo fu anche il modo per parlare di lui, elaborare in piccola parte quel lutto,  raccontare a quel papà che non c’è più le esperienze della scuola, delle gite e dei compagni. Accompagno bambini il cui papà è in carcere, oppure i genitori sono separati… l’idea di arrivare alla visita programmata con letterina e regalino li riempie di gioia. Il bambino che ha due figure femminili che si fanno chiamare mamme, portando a casa il lavoretto lo offrirà ad entrambe. Non è discriminato, ne ha addirittura due! Si incaricheranno loro di spiegare che ne basta uno per entrambi visto che, nella loro casa, hanno lo stesso valore.

Emerge tanto non detto in circostanze preziose come queste che sarebbe un peccato sprecare in nome di un politicamente corretto, anziché farle fruttificare in quell’officina di umanità meravigliosa, che è la scuola di ogni tempo, se risponde a quell’ esigenza  profondissima di verità,  nella quale una di quelle domande di senso più forti della vita è sapere da chi siamo stati generati: non vi è identità senza origine.
Ecco, le piccole e grandi festività, anche nelle scuole, hanno lo scopo di riflettere sul senso della propria vita in relazione agli altri e al mondo che ci circonda. Come docente, penso alla  mia classe attuale, dove ho bambini che piangono anche quando scriviamo la poesia sui nonni perché o non li hanno conosciuti o perché saliti in cielo troppo presto o forse perché lontani se vivono all’estero o forse assenti senza un perché… cosa dovremmo fare? Dovremmo forse abolire anche lì la festa dei nonni perché molti non li hanno più o non li hanno mai avuti?

No, tenteremo di parlarne, di elaborare quel vuoto… e allora, mentre chiedono di raccontarsi su come sia vivere senza di loro, elaborano meglio quel vuoto che può essere colmato dal sentirsi ascoltati, ascoltare l’esperienza degli altri… Lo facciamo a lungo e poi tutto finisce con un pensiero o una lunga riflessione che aiuta a costruire il pensiero critico, e a mantenere una relazione vitale con loro. 

Nella scuola puoi sperimentare che quello che non hai; non è necessariamente un meno, ma un di più da interpretare, guardare con coraggio per camminare ” oltre il muro ” di tutto ciò che ci divide da un desiderio irrealizzato che, però, sa organizzarsi per tradursi in progetto se lasciato libero di esprimersi. Credo che vada lasciato spazio alla creatività dei bambini, in cui, forse, non crediamo  più abbastanza: ed è proprio per questo che, forse, impediamo loro di crescere e diventare adulti capaci di affrontare la realtà, qualunque essa sia.

Non mortifichiamo i loro desideri sull’altare di quelli che noi adulti chiamiamo diritti.


Roma, 26 marzo 2025
Giusy D’Amico
Presidente Associazione “Non si tocca la famiglia”